braccio fortebraccio montone inSe vuoi vedere il video animato della storia di Braccio Fortebraccio clicca qui.

Braccio nacque a Montone il 1 luglio 1368 dai nobili Oddo Fortebracci e Giacoma Montemelini, nella compagnia di Guido d’Asciano.

La sconfitta dei nobili di fazione popolare a Perugia

Sin da giovane si dedicò alla carriera militare, iniziò come paggio gia comportò l’esilio dalla città per la famiglia di Fortebracci e la perdita della proprietà di un castello a Montone, nell’alta valle del Tevere (Umbria settentrionale). Braccio si diede quindi alla ventura, entrando nella compagnia di San Giorgio (della quale faceva parte pure il futuro rivale Muzio Attendolo Sforza), alla scuola di Alberico da Barbiano.

Nel 1390 tornò a Montone, e qui, aiutato da due fratelli, uccise tre membri della fazione avversaria dei raspanti: per questa azione risoluta si guadagnò una taglia sulla testa (da parte di Città di Castello, per l’omicidio di un abitante del Tifernate che si trovò lì di passaggio), e l’appellativo di Braccio in luogo del nome Andrea. Fortebracci decise quindi di abbandonare nuovamente i luoghi d’origine per formare una compagnia di 15 cavalieri e per mettersi al soldo dei Montefeltro contro i Malatesta.
Nel 1391 rimase ferito durante l’assalto alla Rocca di Fossombrone, di quella battaglia gli rimase un passo leggermente zoppicante. Sconfitto presso Fratta Todina, rifiutò di entrare al servizio di Biordo Michelotti.
Nell’aprile del 1395 tornò a combattere per Alberico da Barbiano, nel Regno di Napoli, qui s’incontrò nuovamente con Sforza.
Nel 1397 passò agli stipendi di Firenze, sotto al suo comando erano 30 uomini d’arme.
Nel 1398 affiancò la Chiesa nella guerra contro Perugia, assediando prima Montone e poi, alla morte di Michelotti (Signore di Perugia) attaccando la città che l’aveva esiliato. Finì per devastare il territorio assisiate nell’inutile tentativo di penetrare nell’attuale capoluogo umbro.

Nel 1400 Perugia si diede ai Visconti e Braccio tornò a alle sue battaglie in lungo ed in largo per la penisola. Nel 1402, alla morte di Gian Galeazzo Visconti, combatte per i pontifici contro i viscontei.
Nel 1403 papa Bonifacio IX si accordò con il nuovo Ducato di Milano e caddero sotto il controllo dello Stato della Chiesa. Bologna, Perugia e Assisi: la fazione dei nobili perugini dei raspanti ottenne però che i fuoriusciti non potessero avvicinarsi a meno di 20 miglia dalla città.
Nel 1404 Fortebracci tornò così al servizio di Barbiano, combattendo di nuovo a fianco di Lorenzo Attendolo, contro Faenza e contro lo Stato della Chiesa: questa seconda battaglia rimarrà ricordata come uno degli esempi della perizia nell’arte della guerra di Braccio. Nei pressi del fiume Reno in Emilia Romagna le truppe del Conte di Cunio rimasero in minoranza di fronte al nemico, e Montone, che componeva la retroguardia, fece costruire tre ponti ad uso militare, per attraversare il fiume e trincerarsi oltre le sponde, riuscendo così a resistere agli assalti delle truppe pontificie. Per questa impresa Braccio si poté fregiare del titolo di cavaliere e del diritto di inserire nel suo stemma le insegne del Conte di Cunio. I primi successi del giovane condottiero finirono per attirare le invidie della compagnia, qualcuno lo calunniò avvertendo Alberico che Braccio voleva ucciderlo per prenderne il posto, e così Montone, avvertito di questo dalla moglie del Conte di Cunio, dovette fuggire dall’accampamento per non essere a sua volta ucciso. Più tardi Barbiano si pentì di questo suo proposito e chiederà a Braccio, vanamente, di tornare nella sua compagnia.

Nel 1406 combatté con i fuoriusciti contro Perugia, e nel 1407 formò una compagnia di ventura composta primariamente da esuli perugini, danneggiando e ricattando vari piccoli comuni del contado romagnolo e dell’Alta Valle del Tevere per finanziarsi con queste scorrerie, ponendo la sua base presso Sansepolcro. In maggio gli abitanti di Rocca Contrada gli offrirono la signoria della città, in cambio del suo aiuto contro il marchese di Fermo Ludovico Migliorati, che stava assediando la città. Il Montone accettò ed occupò il Monte Conero e devastò il territorio di Fano, dove si impadronì di alcuni castelli. In seguito Braccio si rappacificò con il Migliorati e passò al servizio di Ladislao d’Angiò di Napoli proprio presso Fermo. Al suo soldo erano ormai più di 1200 cavalieri e 1000 fanti, cui dispensò complessivamente una paga di 14.000 fiorini. Devastò le terre dei Trinci di Foligno perché si erano rifiutati di vettovagliare le sue truppe.
Nel 1408 Perugia si arrese al re di Napoli Ladislao, ma ottenne da questi una dichiarazione di belligeranza verso tutti i fuoriusciti dalla città. Braccio ripiegò nelle Marche, ad Ancona, dichiarandosi a sua volta nemico di Ladislao, e s’impossessò di Jesi.
Nel 1409 combatté dapprima a Città di Castello, quindi ad Arezzo a fianco dei fiorentini e poi si diresse alle volte di Roma, assediando Castel Sant’Angelo, salvo ripiegare nelle Marche per l’arrivo dell’inverno.

Nel 1410 Roma subì attacchi da parte di Luca e Ladislao d’Angiò e diverse compagnie di ventura, tra queste pure quella di Braccio Fortebraccio, che, una volta viste in ritirata le truppe napoletane, le inseguì e le sconfisse presso Sora, poi saccheggiata. In agosto i fiorentini gli consegnano 14.000 fiorini nel perugino, in settembre Spoleto gli commissionò scorrerie punitive nel territorio di Terni, in novembre attaccò nuovamente Perugia assediandola da porta San Pietro, senza riuscire nell’intento. In questi anni di guerre, concentrate per lo più nell’attuale regione Umbria, Braccio ebbe modo di perfezionare la sua tecnica militare, impostata sulla rapidità della manovra e sulla velocità dei movimenti, e questa fu la caratteristica di una nuova scuola d’arme, che fu definita braccesca.
Nel 1413 Giovanni XXIII lo nominò feudatario di Montone. L’Antipapa lo chiamò a governare Bologna, e Braccio sfruttò la situazione per accumulare molto denaro, taglieggiando le città di Ravenna, Forlì, Rimini, Cesena e Castel San Pietro.

Nel 1414 combatté a Todi contro lo Sforza (passato al soldo di Napoli), in giugno, al termine della battaglia, venne accolto con tutti gli onori a Firenze, con cui siglò un’alleanza di 10 anni. In agosto Ladislao d’Angiò morì, Braccio lasciò Bologna in libertà, per la cifra di 180.000 ducati d’oro, e raggiunse l’Umbria, occupando città e castelli durante la sua discesa, Perugia si affidò a Carlo Malatesta, nominato Difenditore dei Perugini per la Santa Chiesa, lo scontro avvenne a Sant’Egidio il 12 luglio 1416, con la vittoria dei bracceschi. Nella battaglia si distinsero il giovanissimo figlio di Braccio, Oddo, e l’allievo Niccolò Piccinino, e gli episodi che la contraddistinsero vennero immortalati in una tela di Paolo Uccello.La città di Perugia non poté far altro che aprirgli le porte, e nominarlo Signore, ed in seguito alla conquista anche le città di Todi, Narni, Terni e Orvieto lo invocarono come loro signore, a suggellare il dominio di Braccio nel territorio dell’odierna Umbria. Braccio Fortebracci chiese quindi al neoeletto papa Martino V di concedergli il vicariato sull’Umbria, ma questi gli mandò contro Guido da Montefeltro e lo Sforza, che il Montone sconfisse puntualmente presso Spoleto.

Il 14 marzo 1419 incontrò il Papa a Firenze, e trovò un accordo, che consisteva nella riconquista di Bologna. Braccio la conquistò e poi si ritirò a Perugia. In seguito Braccio andò in aiuto della regina di Napoli, scomunicata dal Papa, controllando tutti i territori dell’Abruzzo e parteggiando per Alfonso V d’Aragona contro gli angioini: in seguito ai suoi successi nel febbraio 1424 è nominato gran connestabile del regno di Napoli, e feudatario di Capua e Foggia. In marcia per lo scontro finale, presso Pescara morì lo Sforza (sempre al soldo degli angioini), invece durante la battaglia finale, il 2 giugno 1424 a L’Aquila, Braccio da Montone rimase gravemente ferito. Non volle cure e pochi giorni dopo morì. Il Papa lo fece seppellire in terra sconsacrata, vi rimase fino al 1432 quando, per iniziativa del nipote Niccolò della Stella Fortebracci, (sorella di Braccio) i suoi resti furono tumulati nella Chiesa di San Francesco al Prato a Perugia.

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